Le contraddizioni della "globalità"

di Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it – novembre 1999


Questo testo è estratto da un libro che sarà pubblicato nel gennaio 2000.
Lo stesso argomento è trattato anche nel capitolo 18 del Nuovo libro della pubblicità
di Luis Bassat e Giancarlo Livraghi (Il Sole 24 Ore Libri, 1997).



La tendenza incessante a fusioni, concentrazioni e acquisizioni in quasi tutti i settori dell'economia sembra smentire la tesi sostenuta da John Naisbitt nel suo libro Global Paradox (1994): «più grande è l'economia mondiale, più forti sono gli operatori più piccoli». Ma se osserviamo un po' più a fondo la situazione vediamo che si possono rilevare almeno due scenari, intrecciati e sovrapposti: uno che porta alla concentrazione, l'altro alle crescenti possibilità di successo delle "piccole e medie imprese". Dove, naturalmente, il concetto di "piccolo" è relativo. Ci sono casi in cui imprese davvero minuscole ottengono un successo "globale"; altri in cui imprese con un fatturato di centinaia di miliardi sono "piccole" rispetto al quadro concorrenziale in cui operano. Ma in un modo e nell'altro ci sono ampie conferme della validità del "paradosso globale"; e del fatto che lo sviluppo dei nuovi sistemi di comunicazione e dell'economia connessa è l'elemento portante di questa nuova realtà economica.

Il 9 luglio 1997 i ministri dell'Unione Europea riuniti a Bonn hanno emesso una lunga dichiarazione in cui fra l'altro si dice:

I Ministri riconoscono il grande potenziale dei Global Information Network per favorire la crescita economica, in particolare attraverso comunicazioni più efficienti, lo sviluppo di nuovi contenuti e il decollo del commercio elettronico globale. Ritengono che cogliere le opportunità sia vitale per la competitività dell'Europa e sottolineano l'impegno dell'Europa a fare la sua parte della dinamica espansione del commercio elettronico. ..... Sottolineano che ricchezza e molteplicità di contenuti e servizi non solo risponderanno alle esigenze dei consumatori europei ma, in un ambiente digitale che favorisce la diversità, saranno ugualmente attraenti per gli utenti nel resto del mondo. ..... Un rapido sviluppo nell'utilizzo dei Global Information Network, specialmente da parte delle PMI, è di cruciale importanza per la loro competitività.

Finora alle parole non sono seguiti fatti significativi. Ma è interessante rilevare come anche in quella dichiarazione sia ripetutamente sottolineato il ruolo delle "piccole e medie imprese" e messa in evidenza l'opportunità offerta dai nuovi sistemi di comunicazione per l'espansione della loro attività in Europa e nel mondo.

La "co-evoluzione" di globalità e diversità, di piccolo e grande, come componenti intimamente interconnesse del sistema, si nota non solo nell'economia ma anche nella società e nella politica. Le Nazioni Unite, osserva Naisbitt, furono fondate nel 1945 con 51 paesi. Nel 1960 erano 100, oggi sono quasi il doppio – e il numero continuerà ad aumentare. Uno studio promosso da Freddie Heineken propone un'unione europea formata da 75 nazioni, ognuna con una popolazione fra i 5 e i 10 milioni di abitanti, o in alcuni casi anche più piccola. Alle stesse conclusioni è arrivato Cyril Northcote Parkinson (l'autore del famoso libro La legge di Parkinson). Nel suo bel libro The Nine Nations of North America (1981) Joel Garreau spiegava come l'America del Nord è costituita da nove nazioni, chiaramente distinguibili, che superano e trascendono i confini nazionali. Un'analisi della Fondazione Agnelli propone uno scenario analogo, suddividendo l'Italia in nove "entità" economiche e culturali.

Naisbitt ci ricorda che la Cina comprende 56 nazioni diverse. La vecchia Unione Sovietica era costituita da 104 gruppi etnici riconosciuti. Nel Sud America ci sono più di cento diversi gruppi etnico-linguistici. Si parlano più lingue in Africa che in qualsiasi altro continente; per esempio ci sono 40 diversi gruppi etnici in Kenya, altrettanti in Uganda e nel Gabon, più di 200 nello Zaire. Ci sono 300 gruppi etnici nelle 3000 isole dell'Indonesia, riunite artificialmente ai tempi della dominazione olandese (il drammatico caso di Timor è probabilmente solo un aspetto di una situazione molto complessa). Eccetera... meno del dieci per cento delle nazioni nel mondo è etnicamente omogeneo. In questo periodo si parla molto dei Balcani, ma non ci rendiamo sempre conto di quanto sia "balcanico" il resto del mondo.

L'economista giapponese Kenici Ohmae pensa che il suo paese debba essere suddiviso in nove o dieci regioni autonome; e analoghe suddivisioni siano naturali nel resto del mondo, in Asia come in Europa. Nel suo libro The End of the Nation State – The Rise of Regional Economies (1995) anche Ohmae rileva che «gli Stati tradizionali, nati nel XVIII e XIX secolo, sono dinosauri in via di estinzione... meccanismi inefficienti di distribuzione della ricchezza, la cui sorte è sempre più determinata da scelte di mercato compiute altrove». Dice anche: «In tutto il mondo, a cavallo di nazioni diverse, stanno emergendo zone assai dinamiche, che apportano concreti miglioramenti alla qualità della vita e delle persone».

Tutto questo può sembrare un'utopia, perché è probabile che molti stati nazionali non si spezzino. Ma il fatto è che, man mano che l'economia e la cultura mondiale si "globalizzano", cresce la spinta alla ricerca delle identità locali. Lo stato-nazione probabilmente sopravviverà per motivi politici, ma non è più in grado di riflettere la realtà economica e culturale di un mondo sempre più aperto agli scambi. Dice Naisbitt: «Se il mondo deve essere un solo mercato, le sue parti devono essere più piccole». Il mondo diventa tribale. Una parola che spaventa chi crede ancora che possano sopravvivere i grossi sistemi burocratici centralizzati, ma che invece va letta come positiva, come vitalità e molteplicità culturale.

Lo stesso problema si pone per le imprese. Sono, osserva Naisbitt, come pesanti mainframe in un mondo dominato dai PC; devono sapersi trasformare in "reti", cioè in sistemi dinamici di piccole unità autonome, capaci di emulare la flessibilità e il dinamismo delle piccole imprese. Sappiamo che ci sono forti spinte alla centralizzazione nelle imprese multinazionali; ma mentre perdono peso e autorità le gestioni nazionali aumenta il ruolo e il potere di gestioni settoriali, per prodotto, per funzione operativa, per area di specializzazione.

La network economy è un fenomeno coerente e "co-eolvente" con il "paradosso globale". Ed è ragionevole pensare che la rete sia il terreno naturale per lo sviluppo di scambi, culturali ma anche economici, che trascendono e trascurano i confini delle nazioni; e realizzare quella combinazione dinamica di globale e locale, di condiviso e diverso, che è la linfa vitale di una nuova civiltà.

Un mondo in cui non solo i confini degli stati perdono senso e valore, ma in cui ogni impresa, ogni persona può costruire una propria mappa globale tagliata su misura. Questa esigenza non nasce dalla tecnologia, ma dall'evoluzione economica e culturale; le reti di comunicazione elettronica ne sono il naturale strumento.


Home Page Gandalf
home